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Le storie di Claudia e Michela a Tg2 Medicina 33

Michela non è stata creduta. Claudia non è stata creduta. Le donne con osteoporosi gravidica non vengono credute. Quanto è importante far conoscere una patologia, per evitare a tante persone di soffrire per malattie sconosciute?

Fino a poco tempo fa era davvero difficile trovare informazioni sull’osteoporosi gravidica – e anche per questo Michela, Claudia, Maria Laura, Rosa, Velia, Benedetta, Barbara, Adriana, Loredana, Livinia, Chiara, Elisa e cento altre hanno vissuto un’odissea, prima di essere ascoltate, credute e adeguatamente curate. Ma dalla nascita di MAMog ad oggi, l’informazione sull’osteoporosi gravidica è aumentata esponenzialmente e questa è un’arma fortissima per fermare la patologia, per evitare altre vittime. Diffondere la conoscenza circa l’esistenza di una patologia è fondamentale per la sua diagnosi precoce ed è il primo strumento di prevenzione. Se i medici la conoscono e ci pensano, la malattia può essere arginata prima di produrre i suoi effetti più devastanti.

Tg2 Medicina 33 è stato l’ultimo autorevole media, in ordine di tempo, ad aver parlato di osteoporosi gravidica, e lo ha fatto attraverso la voce di chi quella malattia l’ha vissuta e la vive tutt’oggi sulla propria pelle. 

Ma quanto pesa emotivamente ripercorrere il proprio vissuto doloroso quando si è ancora in corsa verso la conquista della normalità? Lo abbiamo chiesto a Michela e Claudia all’indomani del servizio sull’osteoporosi gravidica di Tg2 Medicina 33 in cui  sono state intervistate.

“Ho accettato di parlare della mia storia d’istinto, senza pensarci, mi ci sono “buttata” stupendo i miei  stessi familiari che conoscono la mia riservatezza, soprattutto su temi per me delicati e emozionalmente coinvolgenti come la mia malattia”, ci ha detto Michela.

“L’ho fatto nella speranza di aiutare altre donne a riconoscere i campanelli di allarme di questa subdola patologia e di evitare loro lunghi mesi di sofferenza prima di arrivare ad una diagnosi. Ma il mio desiderio è soprattutto che la patologia sia maggiormente conosciuta dal personale medico sanitario“.

Michela ci ha raccontato che aveva già sentito  parlare di osteoporosi gravidica da un’amica, la cui sorella aveva avuto la patologia. Ai vari medici che la hanno visitata quando ancora cercava una diagnosi, ha sempre chiesto se non poteva essere proprio questa anche la causa dei suoi dolori – ma la risposta era sempre la stessa: lei è troppo giovane. Anche dopo la densitometria che ha evidenziato l’osteoporosi, la prima ipotesi è stata quella della menopausa precoce, nonostante l’evidenza del ciclo ancora in corso.

“L’emozione nel ripercorrere la mia storia durante l’intervista è stata fortissima, infatti c’è stato un momento in cui abbiamo dovuto sospendere le riprese perché la commozione ha preso il sopravvento e non riuscivo più a parlare”. – ha continuato Michela – “La domanda che mi ha fatto crollare è stata: come è stato riprendere il tuo bambino in braccio? Non ero preparata, nel raccontarlo ho rivissuto quel momento e l’emozione ha preso il sopravvento”.

“Ripercorrere il difficile percorso della malattia è stato impegnativo dal punto di vista emotivo.  Non posso dire che è  stato come riviverlo perché i dolori sono tutt’altra cosa,  ma non è stato comunque facile. Il desiderio di salvare altre mamme da quest’incubo però è stato più forte di tutto ”

Michela

Il racconto che ci ha fatto Claudia, invece, si incentra soprattutto sulle emozioni che sono venute a galla nel ripercorrere mentalmente la propria storia la sera prima dell’intervista.

Ci ha infatti confidato che il servizio di Tg2 Medicina 33 è stato per lei la prima vera occasione in cui si è davvero  fermata a ripensare a tutto ciò che le é accaduto.

“Un neonato che cresce non ti dà molto tempo per mettere in pausa, razionalizzare e metabolizzare. Fermarsi per scriverlo o pensarlo in vista dell’intervista è stato quindi un primo timido tentativo per osservarsi… Difficile, perché riapre le ferite ancora fresche“.

Per Claudia è passato appena un anno dalle fratture. In questo tempo, che coincide con il primo anno di vita del suo bambino, le è sembrato di correre, arrancando.

“Forse questo è comune a tutte le neomamme – ha continuato – ma nel mio caso è stato così non solo in senso metaforico ma proprio fisico. La sensazione è un po’ quella di avere delle zavorre pesanti e di non avere più le forze, ma un figlio ti dà anche una spinta enorme alla vita. Il trauma c’è senza dubbio, le aspettative, la rabbia, l’invidia, la speranza ma la priorità è una. Sembra retorica ma è così”.

Fermarsi a rimettere mentalmente  insieme i pezzi della sua storia, in vista dell’intervista, ha prodotto su Claudia un effetto potente, è stato come se si fosse resa realmente conto del suo vissuto solo in quel momento. L’osteoporosi gravidica manda in pezzi tante cose, crollano le vertebre, ma crolla anche l’immagine, le idee, le speranze, l’identità di una madre. 

“In questo piccolo passo fuori da me ho visto cosa mi è successo.

Ed è stato spaventoso.

Ed è letteralmente e simbolicamente una cosa difficile da comprendere da accettare, anche solo da immaginare.

Il tuo corpo, che tu credi forte e invincibile perché  ha appena dato la vita a un essere meraviglioso, si sbriciola e crolla, non regge neanche due chili.

Non sei più tu.

O meglio tu sei tu, forse diventerai anche migliore ma il tuo involucro non ti sostiene. E’ come stare in gabbia, all’inizio è devastante, umanamente inaccettabile”.

Claudia

La malattia piomba addosso proprio in un momento in cui una donna, una coppia, si aspetta tutt’altro, e spariglia la carte.

“Immaginavo di vivere il primo anno di mio figlio nel migliore dei modi. Sapevo che prendersi cura di una nuova vita avrebbe richiesto dei sacrifici, ma io e mio marito pensavamo alle classiche difficoltà legate alle notti insonni, e ci sentivamo pronti ad affrontare tutto con il sorriso. Perché avere un figlio era stata una nostra scelta. Purtroppo, invece, il sacrificio è stato di un altro tipo – ci ha detto Michela – perché i dolori sono stati molto più forti di tutto. Mi hanno costretta, immobilizzata, a letto e mi hanno impedito di prendere in braccio il mio bambino. Sentirlo piangere e non poterlo coccolare ed a accudire è stato straziante“.

E’ un qualcosa che lascia il segno e porta con sé una lunga scia di dolore, fisico e psicologico, di paura di rompersi ancora e di difficoltà pratiche, ma poi, pian piano, si intravede la luce e, riconquista dopo riconquista, si riprende in mano la propria vita.

“La paura rimane. Come tante altre cose negative da gestire. Ma la gratitudine per le piccole cose è un nuovo dono. Capisci anche più profondamente le persone che ti sono vicino, non sempre sono belle scoperte, siamo deboli ed egoisti, ma c’è anche tanta bellezza”, commenta ancora Claudia.

Penso a quello che faremo insieme e non ho più paura!

“MAMog è stata un regalo – aggiunge Claudia, che è anche una delle socie fondatrici dell’Associazione – in primis per la potenza che un gruppo di donne può generare. E poi perché ha dato un senso al dolore  trasformandolo in obiettivi concreti da perseguire.

Dopo un anno sono molte le cose belle e i traguardi raggiunti e se ripenso a dov’ero lo scorso anno dovrei essere fiera di me, ma io non mi sento ancora fuori da questo percorso, almeno non abbastanza da tirare un sospiro di sollievo.

Forse non lo farò mai, perché fa anche parte del mio modo di essere, ma sono ancora troppi i desideri da esaudire e tanta la fatica, i dolori e la paura, che a volte è tale da farti ripiombare nel buio.

Ma nonostante tutto ogni sera prima d andare a dormire penso a tutto quello che realizzerò con Lucio. E non ho più paura“.

Il nostro grazie va a queste due mamme che si sono raccontate per tutte noi. La storia di ognuna è la storia di tutte. Le speranze di ognuna sono quelle di tutte. Che la salute possa davvero presto essere una certezza per ogni persona, per ogni madre e per ogni bambino! Che ogni persona malata possa essere creduta e curata.

 

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